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Truth is the useful, efficient, workable.......
F. C. S. SCHILLER
Ella ha carcerato così duramente le sue idee e si è mostrato tanto geloso e meticoloso custode della sua filosofia personale, che nessuno ancora, nè i suoi colleghi governativi, nè i suoi maestri ufficiali, nè i suoi alti giudici di Roma o d'altrove, sanno che lei osa, con una audacia Prometeica e un orgoglio Byroniano, essere, in questi tempi di affliggente e monotono filisteismo dogmatico, nientemeno che uno scettico radicale, più giacobino di Robespierre, e più feroce di Marat. Ma io, caro amico, non ho mai avuto paura per Lei; io sapevo bene che le sue trattenute manifestazioni non erano che impotenza di espressione, che il minaccioso e splendido suo isolamento si riduceva a un apparato tanto maestoso e pieno di mistero, quanto tremolante di base e vuoto di contenuto. Ella si metteva il mantello del cospiratore, e declamava contro la logica, soltanto perchè le mancava il pugnale o la bomba, e perchè la logica l'aveva cacciato di casa. Ella era nemico della filosofia ufficiale, e intanto ne aveva molti vizi; e faceva il ribelle, mentre sarebbe stato bene sulla cattedra dell'inquisitore.
Mi permetta dunque, quest'oggi, una lieve indiscrezione; io sono, come ho detto, un filosofo rompiscatole, che guasta i giochetti accademici meglio architettati, e fischia con l'insolenza di un monello ideologico i gros-bonnets filosofici più ricchi di pancia. M'è venuta dunque la voglia di farle un piccolo scherzo, di mandare ad effetto una malignità che avevo da tempo progettata; non si impaurisca; si tratta soltanto di rompere la gabbiuzza di sottintesi, di reticenze, di silenzi compiacenti e di citazioni adulatrici in cui Ella tiene rinchiusa quella orrida bestia, quella fiera dilaniatrice, quella filosofia scandalosa, impertinente e beffarda che è lo scetticismo.
Non per amore della umanità filosofante, di quella che stiracchia i suoi cento sillogismi per giorno, e ficca nel cervello degli ascoltatori cento conclusioni razionali per ora; e neanche di quella che filosofeggia leggermente e malignamente, col sorriso di un Attico e la frase di un France, che, a suo arbitrio, ha le ali della metafisica e i piè di piombo dello scienziato; di quella che getta fuori dei paradossi pachidermici e delle bestemmie anti-kantiane con la serenità dei vittoriosi e il satanismo d'un Baudelaire. Ma invece per un piccolo egoismo d'uomo vivente e sperimentante, che vuole toccare, assaggiare e distruggere, e che prova un grande diletto nel trovare un nemico da atterrare. Ho il dubbio, certo irriverente, che la sua terribile bestia, sia fuori di moda, invecchiata, e che trascurata dal suo carceriere abbia perso i denti ed abbia guasti gli artigli. Io voglio trarla dal suo serraglio e metterla in pubblico e sferzarla; chissà che la vecchia tigre non sia diventata un buon Buricchio domestico, senza troppe audacie e senza troppe ire, che si contenta di fare ogni tanto il ribelle col defraudare la cuoca di un paio di costolette arrostite! Chissà che il suo scetticismo, non puzzi di accademia e di miseria e di povertà e di vecchiaia, che sia una filosofia da invalidi, ed una fascia igienica per erniosi. Non per nulla, caro amico, Ella entrata con un certo piacere nel branco dei pubblici dispensieri di filosofia alle animuccie liceali di O., e nel magno annuario del poco munificente Regno di Italia. Non le mancano che dei discepoli; pel critico son qua io; e quanto al martirio la sua fantasia di orgoglioso non mancherà di inventare una qualche persecuzione. Così, maestro, discepoli, critico e martirio, ci son tutti i personaggi per questa tragicommedia filosofica; non manca che il titolo, e siccome scetticismo puzza di muffa, lo ringiovaniremo con una piccola iniezione di novità; sarà allora il Neo-scetticismo. Non è così che Ella voleva battezzare la sua filosofia?
Mi perdoni dunque se oso, come un novello Ercole, violare le porte del suo archivio filosofico, e se ho il coraggio di portare alla luce le dottrine che Ella tiene nascoste e serrate con la gelosia d'un avaro e la paura di un rivoluzionario. Lo faccio, perchè non credo che siano un tesoro e neppure un esplosivo. E più che delle dottrine, e più che delle idee, io parlerò della sua dottrina e della sua idea; infatti io non l'ho conosciuto possessore che di una sola trottola filosofica e di un solo modo di farla girare; e l'ho sempre visto sera e mattina, a Roma e a Firenze, d'estate o d'inverno, scalmanarsi per lo scetticismo e minacciar mezzo mondo con la sua pregiudiziale. La quale è il suo terribile segreto, la sua massima invenzione, il più sicuro titolo di gloria, e la più stuzzichevole zannina della sua vanità di creatore; anzi lei ce la gabella pel più pericoloso fra gli arnesi della sua officina negativista.
Bisogna però che io l'avverta, prima di rivelarla al mondo filosofico impaziente, di questo: o io espongo fedelmente la sua idea, ed allora ho raggiunto il mio scopo, ed ho soddisfatta la mia malignità; o non ci riesco (ed io m'aspetto di vederla attaccata a quest'uncino) ed allora sarà una mia invenzione, un bel castello filosofico con le sue torri e i suoi ballatoi, i suoi merli e i suoi ponti, che ho tirato su pel gusto di raderlo al suolo. Comunque sia, io spero di divertirmi; e non per altro le scrivo. Non mi calunni adunque, e non sia troppo pronto a chiamarmi ladro di gloria; io non voglio rubarle neppure un atomo di questa consolazione dei falliti di tutti i tempi.
«Gli Scettici antichi volsero le armi della loro critica contro le scienze; sorse coi moderni la critica della conoscenza; con me si inaugura una terza e definitiva fase, quella del dubbio sulla possibilità di una critica della conoscenza. Il dubbio si fa sempre più profondo, e sempre più si avvicina a uccidere il dogmatismo nella sua segreta sorgente». Così presso a poco Ella dice, forse ancor più schematicamente. E continua: «Io domando infatti, come sia possibile studiare il problema gnoseologico, senza prima averlo implicitamente risolto; come valutare la conoscenza senza prima averne data una valutazione; come assicurarci su ciò che conosciamo, se non appunto con i mezzi e con i resultati della nostra conoscenza. Per fare una critica del conoscere, bisogna adoprare e parole e fatti d'esperienza immediata e ragionamenti e categorie e metodi scientifici e logici, cioè adoprare quel complesso di cose, del cui valore e del cui legittimo uso si sta appunto discutendo. Per dirla con un'immagine, il critico della conoscenza è giudice e parte in causa, e deve stimare il suo codice con le leggi stesse che ci son contenute. Ossia fa un circolo vizioso: egli ammette implicitamente valido, sicuro, efficace, quello di cui appunto si tratta di sapere se, in qual modo, in qual grado, sia valido, sicuro, efficace. In questo problema, che è il sommo per i moderni, e il vero problema filosofico, si impone necessariamente il dubbio. Si impone una impotenza di conoscere, conscia di sè stessa. Il nuovo scettico non nega più come gli antichi, che sia possibile o sicura la conoscenza; egli lascia indietro e realtà e apparenza, e la questione delle matematiche e quella della morale; egli soltanto dichiara logicamente necessaria l'incertezza su tutte le cose ottenute per mezzo della conoscenza, finchè (ed è impossibile) questa non sia mostrata legittima. Lo scettico deve anche andare più in là; e deve dubitare di sè stesso; ed essere scettico pel suo scetticismo. Cosa ha fatto in realtà, durante questo ragionamento se non adoprare quei mezzi che alla fine egli doveva dichiarare dubbi?»
Ebbene, tutto ciò non è nuovo; non è forte; non è utile. Per tre ragioni il suo esplosivo non va; la polvere ha messo fuori la muffa; la bomba è mal costruita; e a farla scoppiare son certo che uccide chi la getta. Mi dispiace, ma la sua carriera di anarchico del pensiero non comincia bene; il suo primo figlio è un aborto, e la sua prima idea rischia molto di andare a finire nel cestino dei ratés filosofici.
Vediamo dunque al Municipio ed alla Questura delle idee Filosofiche, l'atto di nascita e la fedina criminale della sua; temo che sia una certa donnetta che ha il vizio di ringiovanirsi; e chi sa che con tutta la sua aria di onestà logica non le troviamo in tasca un qualche grimaldello sofistico per aprire le porte e persuadere i cervelli. Se io fossi un buon critico di seconda mano, e interrogassi con coscienza le enciclopedie, i dizionari ed anche le opere dei filosofi, se io chiedessi notizie della sua pregiudiziale alle monografie, ai contributi, agli studi, agli atti e alle riviste, se ricorressi agli appunti miei e di miei amici, vedrebbe saltare fuori chi sa quanti mai precursori, che le correrebbero dietro come a un ladruncolo di idee. Ed avrebbero torto; ella ha troppo poca familiarità coi bazar delle filosofie per averci mai arraffato sapientemente una qualche idea; ed ha troppo orgoglio per essersene servito consapevolmente.
Non di plagio l'accuso, ma solo di poca erudizione; come vede le faccio una lode, e la paragono a un ignaro fanciullo che sorride a se stesso per aver costruito coi suoi soli sforzi mentali un luogo comune della sua bambinaia. La mia piccola erudizione di scorridore gnoseologico non mi permette che di farle tre nomi; i suoi predecessori, come vede, sono in numero perfetto; c'è un logico, c'è uno storico, c'è un poeta; c'è un tedesco, c'è un latino, e c'è uno che si voleva slavo: Hegel, Bertiní, Nietzsche.
Io ho riconosciuta infatti la sua pregiudiziale in una immagine del primo (per quanto un logico), in una obiezione del secondo (per quanto un accademico), in un dubbio del terzo (sebbene un dogmatico)(1) E se sono tre soli, incolpi la mia scarsa cultura, che se io avessi stuzzicato un qualche cervello-schedario chi sa quanti mai me ne avrebbe sciorinati davanti; ma io non voglio darle soverchia afflizione. A me basta averle mostrato che lei è uno scopritore di terre già segnate, un inventore di macchine già brevettate, un conquistatore di città già vinte. Alla sua idea non manca certo né l'autorità veneranda dei nomi, nè la ricchezza di un albero genealogico; essa può invocare il rispetto dovuto ai vecchi, e quello dovuto ai nobili. Soltanto le manca la novità; e a me pare che non valga la pena di rinchiuderci in un minaccioso silenzio, e di meditare terribili capovolgimenti filosofici, per starsene a imboccare in segreto, una piccola ideuccia, sparsa, dall'arte della tipografia, per tutto il mondo che legge, da almeno cent'anni. A forza di imboccare la povera vecchierella, ella ha creduto d'aver da fare con una infante.
Non è nuova dunque, come le ho mostrato; ma se colpisse il segno e ferisse il nemico io non baderei alla età della freccia; il legno stagionato punge bene quanto il verde, purchè abbia ancora la punta. Orbene, guardi un poco dove va a finire il suo argomento, dopo tanti ghirigori logici e dopo tante sottigliezze cercate e profondità volute; noi siamo obbligati ad ammettere che anzichè dubbiosi ed incerti sopra il valore e le forme della conoscenza umana, siamo saldamente sicuri e necessariamente credenti alla conoscenza umana come assoluta.
Cosa è infatti l'Assoluto? cosa è questo deus ex machina di tutte le commedie filosofiche, questa formula magica che ha permesso tante eroiche pazzie metafisiche all'uomo pensante? Assoluto si chiama ciò che non ha altro termine di misura che sè stesso. Orbene, la sua pregiudiziale non conclude in fondo che la conoscenza umana non ha misura che nella stessa conoscenza? Non conclude dunque col dichiarare assoluta questa conoscenza? Ed eccole rovesciata la sua catapulta; ella voleva sbucare nello scetticismo e ci ha condotti nel dogmatismo; voleva impelagarci nel dubbio e ci ha inchiodati nella certezza; voleva distruggere ed ha costruito.
Ma lei alzerà gli occhi a quel piccolo motto in cima alla mia lettera, di un vivace pensatore inglese F. C. S. Schiller, e mi obietterà con la maggior calma di cui le è possibile coprire la sua impazienza: «La mia idea sarà vecchia, e forse tornerà a mio svantaggio logico, ma se fosse utile?» Ebbene, per rispondere a questo e mostrarne la inutilità, bisognerà che prima le spieghi cosa è per me Filosofia e qual valore abbia lo scetticismo. Senza un peso, e senza un fine, come parlare di valore e di utilità?
Ed eccomi alla filosofia. Con le sue velleità di ribelle, con la sua forzata originalità e con la sua solitudine degna di un geniale, Ella ha sulla nostra buona compna di esistenza delle idee da reverendo accademico e delle concezioni da professore stipendiato. La filosofia ha due aspetti, o meglio due momenti: uno superficiale, dogmatico e formalistico, come la crosta grigia e sozza di un metallo che fonde; è il momento della espressione, della fissazione delle idee, dell'accademismo; è anche il momento che lascia una traccia netta e precisa, tangibile e classificabile. L'altro momento profondo, vivo e scorrente come la massa in ebullizione del metallo che sta sotto la crosta, è il momento della formazione delle idee, è l'ebrezza della creazione, è il sentimento generatore; ed è anche il momento più fuggevole, che bisogna scoprire sotto la formula e sotto il libro, interrogando l'uomo e dimenticando l'autore.
Gli storici della filosofia, che salvo pochi, raccolgono con coscienza i sistemi e le idee come francobolli annullati o cartoline illustrate, che li dispongono come coleotteri e rampicanti in tanti albums ben classificati e misurati, pei quali le vite dei filosofi non sono che occasioni per sfogarsi in date e in bibliografie, non hanno finora studiato che il secondo momento della filosofia, cioè la filosofia arrivata, la filosofia morta, scheletrita in formule, sterilizzata in boccettine-manuali, e venduta al minuto come polveri igieniche o preservativi morali ai ragazzetti delle scuole medie. Noi invece ci proponiamo di studiare e di fare l'altra filosofia, quella vitale, che si trasforma come un essere animato, che guizza vispa come un pesce e volubile come un uccello. Noi vogliamo insomma sentire le voci, non le eco dei filosofi. Così intesa, la filosofia non è più nè una scienza, nè una sintesi delle scienze, nè un'arte; essa non esiste più; la classica filosofia cessa, per far posto alle filosofie, anzi ai filosofi. Non c'è più un razionalismo, ma c'è Cartesio; non più un Idealismo, ma Berkeley; non materialismo, ma Moleschott. E così via. E per di più non ci sono scolari, e neppur professori. Non ci furono, non ci sono, e non ci saranno che soli individui; non sistemi, non scuole, ma soltanto filosofi. La storia della filosofia, è una psicologia; e capire i pensatori, affare di intuizione e di simpatia, non di letture e di studio.
Da questa concezione della filosofia veda dunque quanto è differente la serie di formulette grinzose che Lei cerca ogni tanto di accomodare diversamente, ma non troppo, dal giorno precedente, preoccupato per un sillogismo posposto e insonne per un dilemma mal collocato. La sua non è una filosofia; ma una curiosità di logicomania, un esempio da museo teratologico della dialettica, e soprattutto il riassunto di un riassunto di uno stato sentimentale.
Per quanto rinseccolita e grigiastra, la sua pregiudiziale non è che la veste razionale del suo carattere, e l'effetto di una certa tendenza emotiva; per quanto voglia essere universale e necessaria, è personale e dovuta a una scelta. Ella si battezza talora per psicologo; ma se lo fosse si sarebbe accorto che il suo scetticismo non è che il prodotto di un curioso accoppiamento fra pessimismo e logica. Se il suo interesse individuale fosse portato piuttosto verso i piaceri del ventre che verso i piaceri del cervello, probabilmente Ella avrebbe fatto una pregiudiziale contro la culinaria, dichiarandola assurda o dubbia; ma siccome una teoria le dava più piacere d'un dolce, così Ella ha fatto una pregiudiziale a tutte le teorie. Lo scettico infatti non è che un denigratore della conoscenza è un ammalato di stomaco che dice male dei fagiani che non può mangiare, un eunuco che disprezza le donne che non può godere. Lo scettico è un pessimista, ossia un maldicente, e corrisponde nel mondo filosofico a quello che nel mondo morale sono le vecchie comari pettegole e maligne, che si sollazzano dei diverbi del quarto piano, e dei ripeschi del mezzanino; lo scettico è un pessimista che invece di fare i conti di casa al vicino, e contare i rammendi sulla biancheria degli altri, si diletta al catalogo delle lacune e delle incertezze del nostro sapere. Ella si dà per psicologo e non si è accorto di essere un romantico, una specie di Byron gnoseologo, di un Obermann che fa sillogismi, di un Werther che invece di uccidere il corpo con una pistola, uccide la conoscenza con una pregiudiziale. Romantico e pessimista, e fautore di pregiudiziali, Ella è un repubblicano della filosofia, capo senza esercito, inattivo per dogma; tetanico ogni tanto per disperazione, attaccato molto ai principi, possessore di una «santa carabina» che non mette mai fuori, e soprattutto famoso per credersi un bruscolo nell'occhio del Governo.
Orbene, io apprezzo lo scetticismo per la stessa ragione per cui dò valore agli Evangeli di Cristo. Poiché se quelli ci offrono una morale da povere anime, questo ci offre una gnoseologia da povere menti; se quelli predicano l'astinenza e la rinunzia pratica, questo accarezza la negazione e il buddismo teorico. Gli uni sono per gli storpi, per i ciechi, per gli umili che non saprebbero pensare nè fare il male, l'altro è per gli inattivi, per i detriti e le scorie della umanità pensante conscia e rassegnata a non conoscere e a non fare mai nulla. Una volta ammessa in fatto l'esistenza delle povere anime e delle povere menti, io riconosco il diritto d'esistere agli Evangeli ed allo Scetticismo; dato che ci siano dei carrettieri, non mi lagno di trovar delle bettole: soltanto non mi ci siedo accanto e non mi ubriaco con loro.
Tuttavia io so che anche le più inutili cose si possono volgere a nostro vantaggio; e sebbene restie, so farle mie schiave. Ed io voglio mostrarle una utilizzazione personale dello scetticismo; e voglio raccontarle la trasformazione vissuta di una filosofia da poveri in una filosofia da signori. Dalla negazione saprò trarre il possesso di tutto; e il misero francescano si farà imperatore del mondo.
Lo scetticismo servirà alla sofistica; e invece d'un libro Ella avrà fatto una prefazione. In ogni modo non si abbia troppo a male di quel che le dico; è necessità di vita separarsi e distinguersi; e pensi che il tono è anche quello un'idea. Mi risponda pure, che le ho scritto per stuzzicarlo; e non mi risponda nè benignamente, nè logicamente, che ho a noia la carità e la logica. Ma mi risponda quando avrò finito, fra qualche giorno, e le avrò scritto un'altra lettera sulla sofistica. Non creda che io corra in Biblioteca e dal libraio per leggermi quel paio di centinaia di volumi che un benevolo studioso mi indica come incompleta bibliografia sui Sofisti; non creda che io stia per incretinirmi sui lavori degli altri. Io non parlerò dei Sofisti, ma del sofista; non farò della storia, ma della psicologia; e inventerò, se occorre, qualche bel personaggio che sappia elegantemente portare questo simpatico nome.
SOFISTA: colui che di un filo sa fare
una rete.
G. IL S.
Io non so, caro amico, se lei tenga nel suo santuario filosofico, al posto d'onore, fra il busto del sorridente e grassoccio Pirrone, e il ritratto dell'imparruccato ed incipriato Davide Hume, una bella statuetta di Origene evirato; certo meriterebbe di starci, e la consiglio di porcela, tanto l'autore del libro «Sui Principi» impersonò con l'atto che lo rese famoso, il carattere anti-vitale ed anti-epicureo della sua pregiudiziale. La quale, in fin dei conti, non è che l'ascetismo rigoroso e poco sicuro di sè, di un monaco medioevale, applicato alla gnoseologia moderna. Io poi, senza conoscer molto la filosofia patristica, dubito assai che Origene fosse un filosofo scettico: e poiché il suo libro è andato perso, e non ce ne resta che la tradizione spurgata di Rufino, potremmo anche facilmente inventare che lo sia stato; ci terrei molto a vederlo fra i suoi antenati. Lo scetticismo è una iperestesia del sentimento della verità, sicché gli scettici somigliano molto a quei poeti frigidi con le donne di quaggiù, per esser ne' loro sogni troppo forniti di troppo belle compne; godendo del cielo, son costretti a perder la terra. Così loro scettici pare che abbiano un concetto così rarefatto e ideale della certezza, che non riescono mai a incontrarla nelle loro speculazioni. Sono funzionari pedanti e cinesi, che non si accontentano mai dei passaporti presentati; che dubitan delle firme, dei bolli e delle marche, che sospettano sempre un inganno, e in ogni passeggero frettoloso sognano un ladro che fugge. E dei funzionari hanno l'amore per l'uniforme, e l'affezione per lo scrittoio; sicchè gli esempi di conversioni di scettici sono più rari perfino delle conversioni maomettane. Le loro formule sono le più vischiose di tutte le filosofie; e i suoi colleghi di negazioni e i suoi asceti dubitativi se ne stanno nella loro Tebaide deserta, nell'attitudine di santi stiliti che ripetono la loro formuletta, come i penitenti: ripetevano fino all'idiozia dell'estasi lo stesso versetto di Vangelo. La più grande soddisfazione dello scettico, dello scettico puro intendo, che non si è associato un dilettante come Renan, o un uomo pratico come Montaigne, è l'immobilità; e il suo più grande piacere è di riassumere in poche, piccole e comode obiezioni logiche universali, le cause del non potere conoscere. Così i Tropi d'Agrippa, così la sua Pregiudiziale. È il piacere primitivo del fanciullo che possiede in un solo arnese, un coltello e un cucchiaio, la forchetta e il cavatappi; che la lama sia poi di ghisa, che la forchetta si rompa, alla prima occasione, e il cavatappi non serva a nulla, di questo non si cura, meravigliato dell'insolito e a suo parere miracoloso arnese. Così lei con la sua pregiudiziale vorrebbe muovere guerra al dogmatismo, abbattere l'edificio delle scienze, criticare la critica Kantiana, e con un piccolo mulinello logico arrestare tutte le armate dei cercatori di verità, dai filosofi ai teologi, dai politici agli scienziati.
Di tante cose confesso, non ne azzecca una. Perchè, lasciando il già detto, se anche la sua pregiudiziale non fosse un vecchio mortaio d'assedio, buono ora tutt'al più per far dei fuochi d'artificio in un villaggio di montagna, ed impaurire qualche filosofo poco audace e poco allenato alle battaglie dei metafisici, oppure uno di quei molto rispettabili muri, con scrittoci sopra: «tanto di multa per chi lo sorpassa,» ma che i monelli del vicinato scavalcano sette volte ogni giorno, e in fatto di potere, un Re Travicello della critica gnoseologica su cui perfino le nostre gracidanti ranocchie universitarie si potrebbero permettere di fare le loro occorrenze, se tutto ciò non fosse, le resterebbe sempre un grave difetto, quello di essere cosa logica, e nulla più che logica; ossia parola e nulla più che parola.
Il conoscere non è nè l'unica, nè la più importante attività dell'uomo. Questo, caro amico, non è, come sognano i logici, una macchina stridente e sbuffante, che ingoia cibo e caccia fuori sillogismi con la marca di fabbrica delle logiche ufficiali; ma è un gorilla sentimentale, emotivo, poco educato, che nella compnia dei simili diventa tre o quattro volte più complicato di quel che non lo sia per eredità, e che possiede un rispettabile numero di anime le quali fanno varie parti nelle varie commedie sociali. La Ragione, poveretta, in tutta questa ricchezza di burattini è ridotta alla parte di serva, mal pata e lavoratrice, che in certe occasioni speciali si fa vestire con gli abiti dei padroni, e rassettati i capelli troneggia fuori di casa come una balia ripulita (almeno così fanno le persone abili). Ora la sua pregiudiziale ha un valore per la serva, ma non per i padroni di casa, e rassomiglia non poco ai dogmi religiosi di cui s'accontenta la sguattera, e di cui sorride la signora a messa. Chi agisce e chi sente e vuole continuare ad agire e sentire — e badi che il pensiero, anche il matematico, è azione, perchè senza un atto di volontà, e senza un atto di credenza non ci si caccia dentro la trafila di seducenti deduzioni e dimostrazioni di Euclide — non può adattarsi alla miserevolezza paralitica delle formule scettiche, che sembrano soltanto giustificazioni per i poltroni e scuse per impotenti; non può accettarle, che a un patto, di farne delle liberatrici, e degli strumenti d'azione. La sua pregiudiziale acquista due valori, come tutte le cose, secondo il fine cui è diretta. Ha il valore macchinale, servile e logico, di chi la prende assolutamente e rifiuta, forse per mancanza di forze, l'azione del pensiero; ed ha il valore attivo, dominatore, sentimentale di chi se ne serve per aprirsi un meraviglioso ed infinito campo di scelta; per chi non ci si ferma, ma l'oltrepassa vedendo altra strada e altri orizzonti; per chi lo scetticismo fa servire alla sofistica. E qui, badi bene, il passaggio non pretende d'essere logico, ma morale; non filosofico, ma vitale; non necessario, ma arbitrario; non collettivo, ma personale. — Lo scetticismo è una malattia della volontà tradotta in formule; ogni uomo ha la filosofia che si merita, ogni temperamento la metafisica che gli si adatta, ogni fantasia il mondo che sa crearsi.
La sofistica si presenta come la tendenza opposta allo Scetticismo. Dal dubbio universale, all'universale affermazione; dalla immobilità al vagabondaggio; dall'odio pel dogmatismo, alla scelta pratica, variata, e abbondante di molti dogmatismi; dalla severità arcigna, al sorriso e all'ironia. E badi bene, non venga fuori a citarmi Gorgia e Protagora, Ippia o Callicrate, nè a scartabellarmi sotto gli occhi il Chiappelli o lo Zeller, il Grote o l'Hegel, i difensori, i calunniatori, gli interpreti, gli apologisti e i classificatori dei Sofisti Greci. La mia dottrina non è del secolo IV o V avanti Cristo, ma di tutti i secoli; non di Atene o dell'Ellade, ma di tutto il mondo. È universale come lo spirito umano; e la storia della Sofistica, non sarebbe che la storia della servitù della Ragione.
La sofistica più che dottrina, più che sistema o ricetta filosofica, è un'attitudine, un procedimento della mente umana. E la subordinazione della ragione ai fini pratici o sentimentali dell'uomo; è la schiavitù della logica e il dominio della fantasia; è la negazione completa e assoluta dell'indirizzo intellettualista. Vi furono sofisti nelle foreste indiane abitate da asceti, che il Buddha incontrò sulla sua strada, pronti a tendergli i lacci della loro dialettica, e le trappole delle loro sottigliezze. Vi furono sofisti in Grecia, al tempo di Fidia e di Pericle, che resero universale l'anima greca, amati dai nobili, e in odio alle moltitudini, educatori di tiranni, liberatori di coscienze, giocolieri e spadaccini delle filosofie, i cui nomi e le cui formule ci sono ancor oggi delle coppe dove versare il nostro vino. E furono per me sofisti anche i Padri della Chiesa che trovavano in Platone il Cristianesimo, e giustificavan le proprie dottrine con le citazioni di Omero. E sofisti i legulei medioevali che sostenevan le ragioni delle repubbliche e dell'impero.
E sofisti furono gli Umanisti, che conquistavano il Papato con una orazione latina, e facevan temere allo Sforza le loro lettere quanto una schiera di buone lancie a cavallo. E sofista fu Machiavelli, artista della politica, che ci dette nel Principe il Manuale del perfetto governo tirannico, nelle Deche il Manuale del perfetto governo repubblicano, prendendo a tipo dell'uno il Valentino, dell'altro Roma; disponendo i problemi della politica come problemi di scacchi e numerando e risolvendo man mano, senza pensiero dell'effetto morale, i vari casi in cui bisogna punire, perdonare, uccidere a ghiado, rompere la fede giurata o mantenerla. Sofista fu il clero cattolico, ammirevole educatore di uomini, e splendido maestro di organizzazione, che seppe lentamente trasformare una dottrina di rinuncia in una di impero, fare del Cristianesimo un Cattolicismo Romano, e permettere colle indulgenze e col confessionale quella grande politica che non si fa senza delitti, e quella grande arte che non si fa senza superstizione. Sofisti e dei migliori furono i gesuiti, sapienti nel distinguere, feraci in sottigliezze, ricchi di sfumature, che trovavano un passo di Sante Scritture per ogni peccato, ed una scappatoia per ogni imbarazzo morale.
E se non le basta la storia, e il passato non lo accontenta, guardi il presente e veda gli uomini (non le formule). Gli scienziati non rappresentano forse nell'immaginazione popolare, il mito della impersonalità, e la personificazione della obiettività? ma lei conosce quanto me le teorie dell' Hertz, del Mach, del Milhaud, del Poincaré, del Le Roy, del Wilbois; lei sa cosa diventano ora per chi ha seguìto il movimento della Contingenza, le leggi e le teorie scientifiche: dei sofismi pratici, delle ricette più o meno sicure, delle costruzioni teologiche per soddisfare l'intelligenza e per servire l'umanità. Le prime cento pagine dei «Prinzipien der Mechanik» dell' Hertz non si potrebbero assomigliare a una specie di manuale sul modo di inventare le teorie o di costruire le leggi? e direi quasi sul modo di fabbricare il mondo scientifico? Gli scienziati dunque sono dei sofisti. E i poeti? anche loro sono degli inventori di sofismi che però hanno anche più smercio e che alcuni trovano superiori pel sapore estetico. E non solo gli individui isolati fan uso di sofismi, ma anche le razze. Bene spesso le religioni non sono state (ed è una buona osservazione del Barrès) che dei sofismi di razza. Si uccidevano cosi per una questione teologica mille persone che erano d'una razza differente. Il protestantismo in massa può esser considerato come un grande sofisma della razza nordica per ribellarsi alla supremazia latina. Per citarle un ultimo esempio, politico questa volta, non è stato un magnifico sofisma, fatto telegraficamente, all'americana, quello della creazione dello Stato di Panama, quando si è vista una rivoluzione, un cambiamento di stato, un riconoscimento ufficiale eseguito in 45 minuti primi? e tutto ciò per il bisogno che avevan gli Stati Uniti d'esser padroni del canale di Panama. Su questa via potrei citarle infiniti esempi; tutto ciò che è sociale è retto da sofismi; i sofismi sono le convenzioni sociali, come i saluti, le strette di mano, i titoli, i complimenti, il duello, l'onore, il matrimonio e tutte quelle facilitazioni di vita che fanno da olio negli ingranaggi delle nostre macchine sociali. Le classi, infatti, hanno i loro sofismi, e i loro fornitori di sofismi; e cosa altro sono stati Herbert Spencer e Carlo Marx, malgrado la loro severa educazione da ingegnere l'uno, da economista l'altro, malgrado la loro moralità d'ex-anglicano e di democratico, se non dai fornitori di sofismi non troppo indigesti e non troppo immasticabili per i borghesi e per i proletari?
Sofista, dunque, è chiunque si serve di fatti, di ragioni, di sentimenti propri e altrui, di teorie scientifiche e di credenze religiose, di libri antichi o moderni, di giochi dialettici e di intrighi logici, per potere dar libero sfogo ai propri istinti, dominare gli uomini con l'intelletto, accontentare e giustificare sè stesso e gli altri. Ossia io violo la vecchia parola e quella storica che ne ristringe il significato a una piccola classe di uomini, con dottrine varie ed incerte vissuta in Grecia molti secoli or sono, e quella popolare che suona biasimo e pudore morale. Perchè per me, tutti siamo sofisti; e la mendicante che trova ragionevole il Paradiso perchè ha tanto sofferto quaggiù, e l'articolista di partito che dall'evoluzione trae la necessità ad un posto retribuito pel suo cugino germano. Precisamente, caro amico. La sua pregiudiziale è il sofisma del suo pessimismo, e la mia teoria sulla sofistica come «facoltà dello spirito» (per dirla alla moda del 1830 in Heidelberg) è il sofisma del mio ottimismo personale. Io e Lei siamo sofisti. «M. Tout le monde» è sofista.
«Ma allora converrà abbandonar questa casa! c'è troppa gente che ci alberga; e con i nostri desideri di un «home» ideologico, di una conchiglia personale fabbricata con le nostre secrezioni gnoseologiche, ci ritroveremmo invece ad abitare un «Hòtel Buffoli» del pensiero.»
Questo, mi immagino, è il suo grido d'orrore aristocratico. Ma io subito la consolo e la calmo.
Guardi intorno, e mi dica: quanti ne vede che sappian d'esser sofisti? quanti ancora hanno smesso di genuflettersi davanti al burattino della ragione all'idoletto della logica? io ne vedo invece ogni giorno tormentati dalle idee pure, sacrificati per un sillogismo, rosi da qualche teoria, credenti nella dea Ragione, nella regina Scienza e nel loro maggiore prete e ministro, Sua Eccellenza il medico sociologo. Ora io voglio che i miei sofismi abbiano a tornare a mio vantaggio; voglio inoltre essere conscio di questa attività; voglio che la limpidezza della mia mente sia tale da poter fare la teoria di me stesso. La sola coscienza d'essere sofista varrà a distinguermi dagli altri. Avrò a mio servizio tutte le filosofie del passato e del presente e quelle che mi saprò creare per fini speciali. Abbandonati gli scrupoli della onestà logica, sarò un abile truffatore e un ingannatore universale di tutti i logici. Hegel e Platone saranno a mio servizio; l'evoluzione e il determinismo obbediranno ai miei ordini; e dall'India e dalla Cina, dalle università tedesche e dai laboratori americani, accorreranno i pensatori a portarmi il loro tributo di teorie e di fatti. Avrò delle armate di dialettici, degli eserciti di logici, degli squadroni di paradossali; impianterò degli arsenali per forniture speciali d'argomenti teologici, e non mi saranno disutili archivi di libri canonici e sacri. E tutti li impiegherò per me stesso. E invece di concludere, come lei: «tutto è dubbio» — io dirò: «tutto vero, purch'è lo voglia. L'uomo può essere il creatore delle sue verità.»
Così, caro amico, ho compiuta la missione di esprimerle alcune delle mie idee. Non le assicuro che domani saranno ancora le stesse. Perciò faccia presto a rispondere, prima che nei cadaveri delle parole io non sappia più scorgere le sorridenti apparenze di quelle che furono oggi le mie compne d'un ora. E che la sua arcigna consorte, madama Logica, non le accolga troppo male; che, vendicative e maligne come Elfi del Nord, sarebbero capaci di farla figurare fra i professionisti e i dilettanti di filosofia in Italia.
Mi abbia per il suo
GIULIANO IL SOFISTA
10 Dicembre 1903(1)Fare della erudizione dopo quello che ho detto sarebbe ridicolo; perciò mi contento così all'ingrosso, di ricordarle che l'immagine di Hegel è quella ben nota in cui per mostrare che la validità del conoscere è un'assunzione ultima e inevitabile, egli paragonava Kant a quello scolastico che non voleva entrare nell'acqua finchè non avesse imparato a nuotare. Il Nietzsche enunzia molto chiaramente la cosa, in uno dei suoi frequenti incisi, nelle prime pagine del Die MorgenrÜte, del Bertini non ho notizia diretta, ma so dal libro del Cantoni su Kant.
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